La cucina napoletana è una delle più varie e complete d’Europa. L’attuale composizione rispecchia la storia che dalla sua nascita, cioè il risultato di una graduale stratificazione di piatti e sapori attraverso i secoli e delle diverse tradizioni culinarie rappresentate dal passaggio dei vari gruppi nella città e nell’intera regione. Ha assimilato e rielaborato ingredienti e piatti di diverse culture, dal Mediterraneo fino all’Europa del Nord.
Molti dei suoi piatti sono considerati dei capolavori per la combinazione degli esclusivi sapori e possono essere esclusivamente assaggiati a Napoli: i taralli, il sartù di riso, il casatiello, la sfogliatella, la pastiera, la zeppola di San Giuseppe. L’immenso corredo di verdura e frutta locale, la lavorazione del latte, degli insaccati e i prestigiosi vigneti sono alla base dell’identità culinaria napoletana.
La cucina locale ha assunto caratteri definiti circa cento anni fa, quando le antiche ricette su piatti rituali, si combinavano con le nuove esigenze di una società industriale. Negli ultimi 50 anni, una grande trasformazione si è prodotta con l’emigrazione, il turismo e nuovi cibi della cultura di massa che per alcuni aspetti hanno cancellato molti dei piatti dell’Italia del Sud e di altre aree del Mediterraneo.
Fin dal Medioevo…
Il primo libro italiano di cucina è stato scritto all’inizio del Trecento a Napoli da un cortigiano di Carlo II d’Angiò. Liber de coquina, ricettario in latino scritto per adeguare la cucina napoletana alla nuova corte francese di Napoli. Nel libro le ricette sono combinate tra loro e provenienti dal costume sia francese che napoletano, altresì dai viaggiatori del sud Italia: spagnoli, arabi, genovesi e toscani. Molte delle ricette presenti anche su “Due libri di cucina“, ricettario scritto cento anni dopo, combinano i diversi piatti diventati spesso raffinati e costosi e probabilmente destinati ai cuochi delle famiglie nobili. Alcune ricette sono rimaste tradizionali per secoli a Napoli, il gusto in cento anni era cambiato, ma l’identità napoletana nella cucina assumeva una chiara e precisa collocazione.
Nel Cinquecento era caratterizzata dai cibi prelibati e dai suoi ingredienti di grande qualità derivati da prodotti agricoli e ittici del territorio. Dall’America arrivarono poi nuovi ingredienti: peperoni, melanzane, patate, fagioli e cacao che trasformarono alcuni dei sapori predominanti della cucina, con la diffusione della pasta, Napoli divenne ancor più popolare. In particolare il pomodoro, divenne il condimento di eccellenza per i vari formati e per la famosa pizza.
I napoletani passarono dal soprannome di “mangiafoglie” per la loro cucina a base di verdura a “mangiamaccheroni”, soprannome nato con la diffusione della pasta e tutt’ora diffuso. I viceré preparavano grandi banchetti a base di maccheroni.
Verso la fine del Settecento, Napoli divenne polo di confronto delle grandi cucine europee e adottò la tendenza di quel periodo, della tavola moderna detta “alla francese”, meno cibo nei piatti e molte portate arricchite di tante diverse salse. La regina Maria Carolina d’Austria impose il gusto francese e la moda di corte appellò il personale con nomignoli che incrociavano il dialetto napoletano e la lingua francese. I cuochi venivano chiamati in napoletano monzù dal francese “monsieurs“, e pietanze napoletane presero un nome francese: ragù, gattò, crocchè.
Al popolo venivano distribuite le interiora degli animali “les entrailles“, le donne che le raccoglievano erano chiamate “zandraglie“.
I sapori napoletani assimilavano tutte le mode, il cibo più popolare rimase la pasta, senza meno importanza erano i gelati, il pesce, i frutti di mare che divennero parte dell’immagine di Napoli.
Nell’Ottocento molti viaggiatori tra pittori, letterati e cronisti hanno ampiamente descritto la cucina popolare napoletana, in particolare quella di strada proposta in ogni angolo della città dai venditori diventate figure ricorrenti documentate in una straordinaria e lunga serie di dipinti, acquarelli e incisioni: il venditore di maccheroni (maccaronaro), di acque ferrate o gelate (acquaiolo), di frutti di mare (maruzzaro), di gelati (sorbettaro), di zuccherini, caffè e anguria (franfelliccaro). L’Ottocento fu l’epoca che segnò l’inizio della lavorazione industriale della mozzarella di bufala campana, il primo documento ufficiale che descrive le caratteristiche qualitative e di gusto della mozzarella aversana risale invece agli inizi del XV secolo.
Ferdinando II di Borbone nel 1833, inaugurava il primo stabilimento industriale per la produzione di pasta, da allora Napoli si avviava a diventare uno dei più importanti centri per la produzione delle paste italiane.
Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1837 una Cucina teorico-pratica, aggiungendo, nella seconda edizione, un’appendice dal titolo “Cucina casarinola con la lengua napolitana (1839)“, nella quale la Cucina di casa manteneva fedelmente la storicità della cucina napoletana con le sue procedure, ingredienti e una sua terminologia.
Nel Novecento, un profondo cambiamento travolse anche la cucina napoletana conducendola ai nuovi modi di mangiare metropolitani, molte leggende e aneddoti segnarono la tradizione culinaria napoletana, è l’epoca della internazionalizzazione dei due dei piatti partenopei per eccellenza: la pizza e gli spaghetti. Alla cucina napoletana sono sopravvissuti molti dei piatti considerati veri capolavori del gusto, molti di essi per ingredienti, preparazione e unicità sono esclusivamente gustabili soltanto nell’Italia del sud.